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08 aprile 2021

JOHN BASILONE – Medal of Honor – “Un esercito in un solo uomo”

 



John Basilone è senza dubbio il soldato italo-americano più famoso della seconda guerra mondiale.

Le sue imprese hanno ispirato alcuni episodi della miniserie americana della HBO, intitolata “The Pacific”. Il Sergente Basilone ha prestato servizio nell'esercito degli Stati Uniti tre anni prima del suo servizio nel Corpo dei Marines nella seconda guerra mondiale nel teatro dell'Oceano Pacifico.

Durante la battaglia di Henderson Field a Guadalcanal, il sergente Basilone ha tenuto testa a 3000 soldati giapponesi e le sue imprese sembrano impossibili da credere, ma è successo davvero!

Basilone comandava due postazioni di mitragliatrici pesanti calibro 30 del Primo Battaglione, Settimo Marines, che avevano il compito di mantenere uno stretto passaggio sul fiume Tenaru. 

I suoi uomini vennero attaccati a ondate da 3000 soldati giapponesi e la sua unità subì numerose perdite.

Si trovarono in una situazione davvero disperata, in numero assolutamente inferiore di uomini e con munizioni scarse destinate a terminare da lì a poco.

A quel punto, invece di disperarsi e di lasciarsi andare a morte certa, nel sergente Basilone scattò tutto il suo coraggio e la sua tenacia. Basilone non si arrese, i suoi uomini non si arresero, e l’uomo divenne un eroe!

Da solo e dando l’esempio a tutti i suoi uomini, spostava una mitragliatrice in più posizioni mantenendo un  fuoco continuo contro le schiaccianti forze giapponesi . Nel frattempo, ha riparato una mitragliatrice rotta e andava a rifornire di munizioni le altre, ​​trasportava “circa 90 libbre di armi e munizioni, corse una distanza di 200 yards attraverso il fuoco nemico mentre combatteva i soldati giapponesi lungo il percorso con la sua pistola Colt .45. 

Ha continuato a correre avanti e indietro tra le trincee, fornendo munizioni a coloro che ne avevano disperatamente bisogno e rimuovendo gli inceppamenti delle armi per i suoi compagni Marines.

" Ha anche finito per bruciarsi le mani e le braccia mentre respingeva "un'intera ondata di soldati giapponesi".

Quando arrivarono i rinforzi, solo Basilone e altri due Marines erano vivi e le forze giapponesi di fronte alla loro postazione erano state praticamente tutte annientate. 

Per queste azioni, Basilone ha ricevuto la Medal of Honor. È stato il primo soldato italo americano a riceverla ed il primo soldato americano a ricevere questo più alto riconoscimento.

Il Marines Nash W. Phillips, fratello d’armi di Basilone, ha ricordato:

“Basilone spostò una mitragliatrice per tre giorni e tre notti senza dormire, riposarsi o mangiare. Era in una buona posizione e causava molti problemi ai giapponesi, non solo sparando con la sua mitragliatrice, ma anche usando la sua pistola ".

 

Dopo Guadalcanal, Basilone fece più volte richiesta di tornare in prima linea, finchè la sua richiesta di tornare a combattere fu approvata e venne assegnato al 1º Battaglione, 27º Reggimento Marine, 5ª Divisione Marine durante l'invasione di Iwo Jima, una delle battaglie più cruenti che la storia della seconda guerra mondiale ricordi.

Il 19 febbraio 1945, i giapponesi si erano appostati in postazioni fortificate in tutta l’isola ed erano determinati sino alla morte a non far sbarcare gli americani. Basilone era in servizio come capo sezione mitragliatrici sulla Red Beach II.

Al momento dello sbarco, l’unità di Basilone venne bloccata dall’intenso fuoco del nemico. Era un vero e proprio inferno.

Allora Basilone, sotto il fuoco delle mitragliatrici, riuscì ad aggirare il fianco delle postazioni giapponesi finché non fu sopra il fortino e lo distrusse con le granate. “Poi si fece strada fino al campo di aviazione nº 1 per liberare un carro armato americano che era intrappolato in un campo minato sotto fuoco intenso di mortai giapponesi e sotto pesante artiglieria, guidando poi il mezzo sul terreno, a rischio della propria vita, nonostante il pesante fuoco a cui era sottoposto”.

Mentre si muoveva sul bordo del campo di aviazione morì a causa dell'esplosione di una granata da mortaio giapponese.

Ma le sue azioni eroiche permisero ai Marines di sfondare le difese giapponesi e di scendere alla spiaggia di atterraggio durante le fasi iniziali dell'invasione.

Basilone aveva protetto i suoi compagni marines da un attacco nemico. È stato insignito postumo della Purple Heart e della Navy Cross.

Basilone è stato l'unico marine arruolato "ad aver ricevuto sia la Medal of Honor e la Navy Cross per il suo straordinario eroismo in entrambe le battaglie".

Il sergente John Basilone durante un ritorno in Patria aveva sposato Il sergente Lena Mae Basilone, USMC (WR), che non si sposerà mai più. Dopo la morte del marito, Lena Mae Basilone inaugurò Il cacciatorpediniere (DD-824, poi DDE-824 e DD-824), 1949-1982, che venne nominato in onore del Sergente Basilone.


Fonte dati:

fotografia, pubblicata su Medal of Honor, 1861-1945, The Navy, pagina 153;

Fotografia ufficiale della US Navy, dalla collezione All Hands del Naval History and Heritage Command.


25 marzo 2021

SERGEANT SYLVESTER ANTOLAK - MEDAL OF HONOR

 


Terza Divisione di Fanteria Americana

Compagnia B - 15° Reggimento – Terza Divisione di Fanteria Americana

Nella Giornata dedicata alle Medal of Honor negli Stati Uniti d’America, la nostra associazione, associata con l’Ass.ne Terza Divisione Americana di Fanteria – U.S. Army – Italia, ha deciso di ricordare ed onorare il Sergente SYLVESTER ANTOLAK, esempio


per tutti di alto senso del dovere, coraggio e spirito di sacrificio. Morto sulla nostra Italia per il proprio Paese e per donarci la libertà!

Di seguito la motivazione della Sua Medaglio d’Onore – Medal of Honor.

 Il 24 maggio 1944, vicino a Cisterna di Littoria (oggi di Latina), ha percorso 200 yards su un terreno pianeggiante e senza copertura per distruggere un nido di mitragliatrici nemiche durante il secondo giorno dell'offensiva che ha sfondato il cordone d'acciaio tedesco attorno alla testa di ponte di Anzio. Percorse 30 yards prima della sua squadra, si imbatté nel fuoco di una mitragliatrice e di fucili nemici.

Per tre volte è stato colpito da proiettili ed è caduto a terra, ma ogni volta ha lottato per alzarsi in piedi per continuare la sua inarrestabile avanzata.

Con una spalla profondamente ferita e il braccio destro in frantumi, continuò a precipitarsi direttamente nella concentrazione del fuoco nemico con il suo mitra sotto il braccio sano, fino a quando non si trovava a meno di 15 metri dal punto del nemico, dove aprì il fuoco a distanza ravvicinata, uccidendo due Tedeschi e costringendo i restanti 10 ad arrendersi.

Riorganizzò i suoi uomini e, rifiutandosi di cercare le cure mediche così necessarie, scelse di aprire la strada verso un’altra postazione nemica a 100 metri di distanza.

Ignorando completamente la grandine di proiettili concentrata su di lui, si era precipitato davanti a quasi tre quarti dello spazio tra i punti di fuoco nemico, quando venne ucciso.

Ispirato dal suo esempio, la sua squadra ha continuato a sopraffare le truppe nemiche. Con il suo supremo sacrificio, il superbo coraggio combattivo e l'eroica devozione all'attacco, il sergente Antolak si rese direttamente responsabile dell'eliminazione di 20 tedeschi, della cattura di una mitragliatrice nemica e dello sgombero della strada per l'avanzata della sua compagnia.

Fonte Dati: U.S. Army

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16 marzo 2021

MAURICE LEE BRITT - Dalla Medaglia d’Argento alla Medal of Honor!

MAURICE LEE BRITT

From Acerno To Anzio. Thank you Britt!

La guerra ad Acerno era finita!

Ma non per i soldati della Terza Divisione di fanteria.

Maurice Britt radunò i suoi 200 uomini dell compagnia L e si spinse fino alle croci di Acerno, dove si unì al 7° reggimento che, partiti da Montecorvino Rovella nella sera tra il 21 e il 22 settembre, avevano marciato per tutta la notte!

Il 23 settembre verso sera i soldati del 10° Engeneer erano arrivati al campo americano a sud del paese. Il soldato Chick Bruns stava preparando la tenda, quando disse ai suoi compagni che forse era meglio spostarsi perché nell’aria c’era una terribile puzza. Allora con la torcia guardarono tutto intorno, ma niente. Poi alzarono la torcia illuminando l’albero accanto alla tenda e videro i brandelli di un soldato tedesco che penzolavano tra i rami.

Ne furono inorriditi.

Poi presero quel che ne rimaneva e gli diedero una degna sepoltura.

PER GENTILE CONCESSIONE DEL PRES. DELL’ASS. TERZA DIVISIONE DI FANTERIA U.S.ARMY – ITALIA, L. S., RIPORTIAMO DI SEGUITO TESTO DELLA STORIA DI BRITT..

…[ “All'inizio di ottobre del 1943, tutta l'Italia meridionale era nelle mani degli Alleati, gli eserciti erano di fronte alla linea del Volturno.

 

Questa era la prima di una serie di linee difensive preparate dai tedeschi e che attraversavano l'Italia da est a ovest e da cui i tedeschi avevano scelto di resistere per ritardare l’avanzata alleata.

 

Questa strategia costringeva gli alleati ad avanzare e combattere in terreni impervi e conquistarli metro dopo metro; dando ai difensori il tempo per completare la preparazione di altre linee difensive, come la Winter Line (Linea Invernale) e la Gustav Line; una delle loro linee difensive più forti a sud di Roma, che impegnò gli alleati per quasi sei mesi.

 

Il 29 ottobre, dopo aver attraversato il Volturno, Britt fu in prima linea con i suoi ragazzi nella zona di Pietravairano durante l’attacco a monte San Nicola, il suo compito era di organizzare un fuoco di copertura per permettere ad una compagnia del 30°rgt di conquistare la vetta.

 

Nelle stesse azioni di quel giorno un soldato della terza divisione meritò la Medal of Honor. Durante quest’azione un soldato di Britt fu colpito da un cecchino e cadde su un terreno ripido in una zona impervia e rocciosa scoperta al tiro nemico; le sue urla fecero capire che non era stato ucciso ma solo ferito.

 

Britt non attese la sera e quindi il buio per inviare i soccorsi e prenderlo, ma si arrampicò lungo la collina, per un terreno scoperto e facile bersaglio per i cecchini, fino a raggiungere il soldato ferito, che fu preso in spalla e portato di nuovo a valle, verso le sue linee ed i primi soccorsi.

 

Per le azioni a Pietravairano del 29 ottobre, ricevette la “Bronze Star Medal” (medaglia della stella di bronzo) con la “V” in bronzo posta sul nastrino a indicare il “Valore” delle azioni condotte in quei giorni.

 

I giorni che seguirono videro parte della terza divisione incaricata di raggiungere e conquistare le tre montagne che dominavano l’Highway Six (la S.S. Casilina) a nord del villaggio di Mignano: la collina di Monterotondo sulla destra di Montelungo al centro e di Monte la Defenza sulla sinistra. Per l’attacco sarebbero stati utilizzati il 15° reggimento (obiettivo Monterotondo e Montelungo) ed il 7° reggimento (obiettivo monte Cesima, al confine con il settore e l’obiettivo d’attacco Inglese, Monte Camino).

 

Le pattuglie di esploratori segnalavano diversi campi minati, trappole e postazioni di mitragliatrici su tutte le montagne, difese da unità della 3a divisione Panzergrenadier e della divisione Hermann Göring, ancora efficienti, nonostante le pesanti perdite subite fino a quel momento.

 

Il generale Truscott, che aveva avuto il comando della 3ª divisione di fanteria dall'aprile del 1943,  aveva messo in riserva il 30°rgt. Fanteria, tenendolo pronto per l’assalto decisivo in quella zona quando le difese Tedesche sarebbero state sul punto di crollare.

 

Ma la situazione tattica venutasi a trovare sul monte Camino, una montagna posta ad ovest, verso il mare, nel settore Inglese, molto alta e ripida, dove la 56a divisione Inglese era bloccata; portò il generale Inglese McCreery a chiedere a Clark una maggiore pressione per aiutare la 56a divisione.

 

Il generale Clark acconsentì chiedendo al generale Lucas un maggiore sforzo; quest’ultimo chiese al generale Truscott, comandante delle truppe dell’area definita come “Mignano Gap” (varco di Mignano), di impiegare anche il 30°rgt. fanteria in una manovra avvolgente.

 

Truscott protestò, vedendo in questo lo spreco di un reggimento, ma obbedì agli ordini inviando il 30°rgt. Di fanteria a bordo dei camion verso Presenzano, nei pressi di Rocca Pipirozzi, da qui il reggimento passò nelle zone presidiate dalla 45a Divisione e avanzò verso ovest lungo la Cannavinelle Hill, scavata da un battaglione di Ranger, per prendere Monterotondo da Est.

 

Al reggimento, affaticato dalla lunga permanenza al fronte, bagnato per la pioggia che non terminava mai e infreddolito per le temperature basse del periodo, fu ordinato di conquistare e tenere la strategica posizione di Monterotondo che permetteva ai tedeschi di controllare la strada principale per Roma.

 

Alla pioggia si unì anche la neve, ed il 30°rgt. di fanteria la mattina del 6 novembre attaccò compiendo pochi progressi. Al loro fianco, ad ovest, il 15° rgt fanteria non era riuscito a conquistare la prima vetta di Montelungo, entrambi non avevano raggiunto i loro obiettivi e occorreva un nuovo attacco.

 

La conquista di Monterotondo avvenne l’8 Novembre, in una mattina nebbiosa, dopo due giorni passati sotto la neve, senza equipaggiamento invernale e senza cibo, che fu consegnato solo poche ore prima del secondo attacco.

 

Per quest’azione furono sostenuti da otto battaglioni di artiglieria coordinati tra loro, che fecero fuoco sulle due colline, permettendo al 30° rgt. di rompere la difesa del 3° Panzergrenadier Division e farsi largo lungo la boscaglia, risalendo la collina ripida e fangosa per raggiungere la vetta.

 

Per la conquista della vetta il 30° reggimento della Terza Divisione ebbe la Presidential Unit Citation, un nastrino blù rettangolare bordato da un cordoncino color oro, una delle più alte onorificenze militari delle forze armate statunitensi, conferita per "atti di straordinario eroismo contro il nemico".

 

Anche un battaglione del 15°rgt. fanteria conquistò la prima vetta di Montelungo mentre un secondo si posizionò lungo l’Highway Six tra le colline di Montelungo e Monterotondo per garantire la chiusura di una curva difensiva. In questa zona la pattuglia di esploratori guidata dal soldato Audie Murphy a seguito di un combattimento con diversi morti e prigionieri Tedeschi, fu costretta a rifugiarsi in una grotta. (lo scontro fu ricordato da A.Murphy nelle sue memorie pubblicate nel libro all’Inferno e ritorno. La grotta è stata ritrovata nella primavera del 2018 ed è attualmente visitabile.)

 

Lo stesso giorno, l’8 novembre, con l’intenzione di riconquistare la collina, l’8 reggimento della 3a divisione panzer (Panzergrenadier) lanciò diversi attacchi con il secondo battaglione (II/8°) contro alcune compagnie della terza divisione posizionate sulla sommità di Monterotondo.

 

La storico della 3a divisione ci ha descritto i loro attacchi  come “non coordinati tra di loro”, questo fatto fu strano per gli americani, abituati all’organizzazione tedesca nella difesa e nell’attacco.

 

La forza del battaglione tedesco alla fine dei primi attacchi era ridotta a soli trenta uomini tanto da rendere necessario al comando tedesco di riunire il II°btg. (II/8°) al III° btg. (III/8°) posto tra Monterotondo e Montelungo per avere di nuovo una unità efficiente.

 

Von Senger, disperato per gli esiti degli scontri e deciso a riprendere Monterotondo, ordinò al 104° reggimento Panzergrenadier, (III/104°) rimasto di riserva, di riconquistare la vetta di Monterotondo “a tutti i costi”.

 

Von Senger ordinò inoltre al gruppo di combattimento di Otto Von Corvin di prendere posizione nella zona di San Pietro Infine, la battaglia di San Pietro era all’orizzonte.

 

Durante la notte del 9 novembre il 104 ° reggimento Panzergrenadier superò l’8° Panzergrenadier alla base della collina di Monterotondo.

 

Questo battaglione teneva ancora prigionieri gli americani catturati durante gli attacchi dell'8 novembre, dalle fonti storiche della divisione, sembra si trattasse di soldati di alcune postazioni di mitragliatrici rimasti tagliati fuori dal contrattacco tedesco.

 

Il 104°, avendo come ordine di riprendere Monterotondo a tutti i costi, decise che il fine giustificava i mezzi e prese in carico i prigionieri americani informandoli che sarebbero stati posizionati di fronte al battaglione durante l’attacco, utilizzandoli di fatto come scudi umani. Questo stratagemma fu messo in atto fin dalla sera, quando due compagnie del 104° avanzarono nella notte fino alle pendici orientali di Monterotondo portando con se i prigionieri che sarebbero stati utilizzati il giorno seguente nell’attacco principale.

 

Il giorno di Britt

 

E venne il giorno dell’onore e del coraggio, era il 10 novembre del 1943, Monterotondo a quel punto dei combattimenti era difeso da tre sottodimensionate compagnie del 3° Btg. (30° Rgt.).

 

Una delle tre compagnie, la L, quella di Britt, era posizionata in basso e ridotta a soli 55 uomini, dei 200 di cui era composta a Salerno e doveva controllare e difendere una zona boscosa di circa 550 metri posta sul versante orientale della collina.

 

Il comandante del battaglione, il tenente colonnello Edgar C. Doleman, ricorda che il sistema difensivo era talmente esteso e presidiato da pochi uomini che era impossibile mantenere un contatto attraverso il bosco ed i pendii, questo era possibile solo con l’utilizzo di pattuglie, esposte al tiro degli assalitori o con l’ascolto dei messaggi gridati tra le varie postazioni.

 

Il nemico iniziò ad avanzare verso le postazioni americane costringendo i prigionieri americani a correre di fronte a loro e riuscendo a trovare un varco tra le compagnie K e L che permetteva loro di attaccare al fianco la compagnia L, isolandola dal resto del battaglione.

 

Il caporale John Syc, ricordando quei giorni disse: “ non riuscivamo a vedere gli americani, ma li sentivamo gridare di non sparare”.

 

Quando i prigionieri americani erano ormai a 50 mt e continuavano a gridare “Don’t shoot!” (non sparate!) il comandante della compagnia L, il tenente Britt, gridò ai prigionieri “We’re going to shoot! Fall flat! You won’t be hurt” “stiamo per sparare, gettatevi piatti a terra, non vi farete male!”

 

Il breve ritardo nell’apertura del fuoco da parte degli americani, per capire la situazione ed avvisare i prigionieri usati come scudi umani, aveva permesso ai Panzergrenadier di cogliere  l'opportunità che cercavano:  avvicinarsi il più possibile alla compagnia L per ridurre le perdite ed infliggere maggiore danno al nemico.

 

Con le due parti molto vicine lo scontro sembrava dovesse terminare con un corpo a corpo, tanto che entrambe le fazioni misero la baionetta sui fucili.

 

I tedeschi impegnati nell’attacco erano più di cento e fu a quel punto che Britt, capendo che la sua compagnia sarebbe stata tagliata fuori dal resto del battaglione e poi annientata, uscì dalla sua buca e iniziò a correre da una postazione all’altra incoraggiando i suoi uomini a tenere duro e sparare per tenere costantemente sotto il tiro le postazioni tedesche, che nel frattempo, avendo capito tutto, avevano iniziato a prendere di mira Britt, non riuscendo a colpirlo data la sua velocità ed i continui cambi di traiettoria; specialità in cui Britt era famoso nei Detroit Lions.

 

Durante l’azione Britt fu trafitto al costato da un proiettile e ferito altre tre volte da schegge di mortaio, ma nonostante il dolore, il sangue che gli copriva il petto, il viso e le mani, riuscì a lanciare sul nemico trentadue granate a frammentazione, sparare con il suo fucile e tutte le armi che trovava in terra o nelle buche di soldati uccisi fino a consumare un impressionante numero di colpi.  Uccise cinque tedeschi e ne ferì molti altri, riuscendo a liberare una parte dei soldati americani prigionieri, facendo a sua volta quattro prigionieri tedeschi.

 

Fred E. Marshall ricorda che Britt correva da una parte all’altra sparando ad ogni rumore e ad ogni figura in movimento, sparendo nel bosco per poi riapparire una volta finite le munizioni, lo ricorda prendere una carabina M1 da un soldato gravemente ferito e continuare a fare fuoco con quella e lanciare granate nel bosco mentre correva cercando i tedeschi.

 

Una scena rimase impressa a Marshall, fu quando vide Britt, in mezzo al fuoco tedesco a pochi metri da loro, lanciare granate tutto intorno a lui senza essere colpito dalle stesse schegge; le bombe scoppiavano intorno a lui e lui correva e continuava a lanciarle.

 

Il sergente James G. Klanes ricorda di averlo visto partire e gettare 10/12 granate contro i tedeschi, che gli sparavano e lanciavano a loro volta granate e vederlo poi tornare riprendere altre granate e ripartire in velocità, per tutto il combattimento.

 

In una delle corse di rientro alle postazioni americane lo videro con il viso il petto e le mani coperte di sangue, per via di tre bombe a mano tedesche lanciate su di lui e che era riuscito a rilanciare indietro facendole scoppiare lontano da lui, ma rimanendo colpito dalle schegge. 

 

Quando l’assalto iniziale stava per vacillare ed il restante della forza tedesca era ancora davanti alle loro posizioni, ma psicologicamente provata per la difesa che stava incontrando; Britt chiamò a raccolta i suoi uomini incitandoli a seguirlo nel bosco per attaccare e ripulire la minaccia.

 

Il Caporale Eric B. Gibson di Chicago, ed il soldato Schimer di New York lo seguirono; Britt infondeva coraggio, sembrava immortale.

 

Gibson ricorda che mentre Britt dava le indicazioni per l’azione la borraccia era trafitta da fori di proiettili, la camicia era ricoperta d’acqua, sudore e sangue, il suo porta binocolo era tutto trafitto da schegge e fori di proiettili.

 

A battaglia ultimata furono contati 14 morti tedeschi su quel lato della montagna, molti di loro uccisi da Britt.

 

Per tutta la mattina Britt ed i tedeschi nel bosco si scambiarono fuoco da una distanza di 15 metri, sembrava li cercasse tra i rovi per attaccare battaglia.

 

Alcuni dei superstiti di quello scontro dissero che Britt, quella mattina in quel bosco, era un esercito di un uomo solo.

 

Le sue azioni incisero in maniera fondamentale sulla ritirata tedesca; probabilmente, se avesse fallito, Monterotondo sarebbe stato riconquistato.

 

Quando nel pomeriggio arrivarono i rinforzi, Britt tornò ancora nel bosco per cercare e colpire il resto dei tedeschi. Gibson ricorda ancora che Britt annientò una postazione di mitragliatrici che stava per colpirlo, salvandogli la vita.

 

Quando i rinforzi arrivarono, dei cinquantacinque uomini iniziali di Monterotondo, oltre a Britt ne erano rimasti solo quattro; i tedeschi lasciarono sul campo sessantacinque tra morti e feriti.

 

Dopo il consolidamento delle posizioni, il comandante del battaglione, il Col. Doleman chiese una relazione a Britt e osservandolo sanguinare in quattro diversi punti gli comunicò di farsi vedere subito; ma Britt disse che non era nulla, il colonnello gli dovette ordinare di andare al punto di soccorso.

 

Arrivato al posto di medicamento Britt disse all’ufficiale medico, il capitano Roy Hanford, “prosegui con le cure degli altri feriti, ho solo un piccolo graffio, quando hai tempo lo guardi”. 

 

Questo graffio, disse poi il capitano medico, era una ferita al fianco di 2 cm di larghezza, profonda fino al muscolo, senza contare le schegge sul viso e sulle mani lasciate dalle granate tedesche.

 

Vedere il comportamento di Britt, disse il Capitano medico, era una fonte di forza e ispirazione sia per i feriti che per il personale medico, provato e stanco da quei giorni di combattimento.

 

Dopo il suo breve passaggio nell’infermeria si sentiva che tutti volevano dare di più a costo di sopportare il dolore.

 

Quando gli chiese se voleva andare in ospedale Britt rispose “ No, Doc, voglio risalire su quella collina ed aiutare i miei ragazzi”. La sua cura fu un po’ di polvere sulfamidica e un bel po’ di bende. Britt in quell’occasione non mostrò un pezzo di bomba a mano incastrato nel muscolo pettorale, lo fece diversi giorni dopo. Uscì dalla tenda e riprese a salire sulla collina di Monterotondo.

 

Il Tenente Britt, alla fine dei combattimenti, ricevette la nomina per la Medal of Honor,  la più alta decorazione militare assegnata dal Governo degli Stati Uniti.

 

Per lui ci fu anche la promozione a Capitano sul campo di battaglia.

 

Anzio, 22 Gennaio del 1944, per Britt questo era il quarto sbarco dall’inizio del servizio militare, la Terza divisione era impegnata nell’Operazione Shingle. Il mezzo da sbarco ondeggiava lento, lo sbarco si annunciava più tranquillo del solito.

 

Britt, curate le ferite, il 23 Gennaio era già in prima linea con la sua compagnia nelle Paludi Pontine, nei pressi di un incrocio stradale in zona Canale Mussolini. L’esperienza maturata nei mesi di combattimento gli fece capire che i tedeschi in quell’incrocio avevano piazzato delle mitragliatrici ben mimetizzate, ma non sapeva dove; era sicuro che avrebbero fatto fuoco quando tutti i suoi soldati e quelli delle altre compagnie sarebbero stati allo scoperto.

 

Per questo motivo, per riuscire a snidarle, disse ai suoi di tenere gli occhi aperti e vedere da dove partiva il fuoco per indirizzare i colpi di mortaio e di artiglieria e iniziò a correre alla sua maniera esponendosi volutamente al tiro delle mitragliatrici tedesche. Anche qui la sua velocità, il suo coraggio ebbero la meglio.

 

Le mitragliatrici aprirono il fuoco dichiarando la loro posizione ed i mortai americani le ridussero al silenzio. L’azione di Britt aveva salvato la vita a tanti soldati americani che in segno di rispetto chiamarono e ricordarono quell’incrocio stradale come "Incrocio Britt".

 

Il giorno successivo, il 24 Gennaio, il capitano Britt si offrì volontario con altri due ufficiali (Burleigh e Packwood) e partì per una missione di ricognizione che aveva lo scopo di osservare una dozzina di carri armati tedeschi in avvicinamento, erano i primi segni del contrattacco successivo allo sbarco.

 

Britt e gli altri ufficiali si posizionarono all’interno di un casale in pietra semidistrutto e lo usarono come posto di osservazione per dirigere il fuoco dell’artiglieria navale contro i carri in avanzata.

 

Un carro armato tedesco, avendo capito che all’interno del casale poteva trovarsi un posto di osservazione si avvicinò a circa 300 mt dall’edificio prima di sparare un proiettile perforante che colpendo la casa penetrò per parecchie pareti prima di esplodere nella sala dove si trovava in osservazione il capitano Britt. L'esplosione gli strappò il braccio fino al gomito, gli fratturò la gamba e tre dita dei piedi. Britt, mentre era seduto in mezzo alle macerie, raccolse il suo braccio mozzato con la mano sinistra e disse: "Ho sempre pensato che sarebbe andata a finire così!" quello era il braccio con il quale teneva il pallone da football.

 

Le sue azioni del 22 e 23 Gennaio, nella testa di ponte di Anzio, gli valsero il “Distinguished Service Cross”, la seconda più alta decorazione dell'esercito degli Stati Uniti, assegnata per ardimento ed estremo rischio della vita.

 

Nel febbraio del 1944, Britt fu evacuato per gli Stati Uniti per le cure mediche presso il Lawson General Hospital di Atlanta, la guerra per lui era finita.

 

Nel suo discorso, il giorno della consegna della Medal of Honor, il capitano Britt accettò la medaglia in nome di tutti i fanti che avevano combattuto ed erano morti in Italia e nel Pacifico e per tutti coloro che stavano ancora combattendo.

 

Durante la convalescenza per le ferite e l’amputazione di parte del braccio, partecipò ad un tour di War Bond per la ricerca di fondi per finanziare lo sforzo bellico. Fu congedato con onore il 27 dicembre 1944 e tornò all’University of Arkansas per studiare e prendere la laurea in legge, mentre la guerra continuava.

 

Intorno a lui vide fanti come Audie Murphy, Leonard Funk ed altri pluridecorati continuare a raccogliere fondi e raccontare le loro gesta ma Britt non fu più ricordato dal pubblico.

 

Ebbe però successo nella vita come industriale e politico divenendo vice governatore del suo stato e consigliere nello staff di Nixon.

 

Maurice Britt fu il primo soldato americano ad ottenere tutte e quattro le decorazioni al valore dell'esercito americano durante la Seconda Guerra Mondiale.

 

Ha raggiunto i suoi fratelli in armi, della compagnia L, il 26 novembre 1995 nel John L. Mc Clellan Memorial Veterans Hospital di Little Rock.

 

Per cinquantadue anni aveva vissuto con il costante e quotidiano dolore per la perdita del braccio destro, del polmone destro, del busto sfregiato dalle schegge e trapassato da un proiettile e per un pezzo di scheggia conficcato nel piede sinistro. Nell’ottobre del 1995, quando la sua condizione diabetica lo consentì, gli fu rimosso il pezzo di metallo dal piede. Una vasta infezione seguita all’intervento e tre successive operazioni in una settimana per riuscire a fermarla, furono troppe per questo grande soldato, che morì all'età di 76 anni per insufficienza cardiaca.

 

Durante la cerimonia la bara era aperta, il suo cappotto militare pendeva dalla parte posteriore della sua sedia a dondolo preferita, posta accanto al feretro.

 

Il suo berretto militare e le sue medaglie erano state poste su di un tavolo accanto a lui.

 

Un sergente dell'esercito restò accanto alla bara durante le sei ore in cui Britt fu esposto. La cerimonia si svolse nella Chiesa Battista del Calvario di Little Rock, dove Britt era membro ed andava tutte le domeniche. La sepoltura avvenne presso il Little Rock National Cemetery.

 

Medagliere personale del Capitano Maurice Lee Britt “Footsie”

 

1 Medal Of Honor (Medaglia d'onore)

1 Distinguished Service Cross (croce al merito di servizio)

1 Silver Star (Stella d’Argento)

2 Bronze Star (Stella di Bronzo)

4 Purple Hearts (cuore di porpora)

1 Army Commendation Medal (medaglia per atti di valore)

1 Presidential Unit Citation (medaglia per atti di straordinario eroismo contro il nemico) 

1 Combat Infantryman Badge ( medaglia per tutti i fanti in combattimento dal 6 Gennaio 1941)

1 British Military Cross (croce di guerra Inglese)

1 Medaglia d’oro al valore militare (Onorificenza Italiana) 

 

Onori personali

 

Arkansas Sports Hall of Fame (1972)….” ]

Un ringraziamento speciale a L.S. anche per averci donato le fotografie di MAURICE LEE BRITT – MEDAL OF HONOR











Fonte dati:

# https://www.terzadivisionedifanteriaitalia.com/p/maurice-lee-britt-footse.html;

# https://www.esplorandolacampania.blogspot.com;

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13 marzo 2021

MAURICE LEE BRITT – MEDAL OF HONOR

 

Battaglia per la liberazione di Acerno (Sa)

MAURICE LEE BRITT – MEDAL OF HONOR

Medaglia d’argento “Silver Star” in Acerno battle.

A volte durante le nostre ricerche succede che dal passato riemergano storie di uomini destinate a rimanerti per sempre nel cuore e nella memoria. Questa è una di quelle.  

“Era il 29 giugno 1919 e negli Stati Uniti d’America, a Carlisle, nello Stato dell’Arkansas, nasceva Morris Lee Britt, da Morris Lee e Virgie Britt, proprietari di una fattoria.

Il suo nome venne cambiato da Morris in Maurice durante le scuole elementari, quando il suo insegnante si accorse che era stato registrato in modo non corretto rispetto alla sua pronuncia. E così rimase per sempre.

Da ragazzo, in occasione di una fiera di paese, vinse un paio di scarpe e quando gli diedero il numero 47, pare che gli venne attribuito il soprannome che poi lo accompagnerà per tutta la vita: "Footsie", piedino.

Terminati i primi anni di studio, la famiglia si trasferì a Lanoke, dove Maurice proseguì gli studi brillantemente.

Maurice Lee Britt si distinse subito per le sue qualità di studente, eccelleva in particolare in latino e in inglese e vinse numerosi concorsi per la pubblicazione di saggi.

Ma nello sport Britt esprimeva il suo talento migliore grazie alle sue straordinarie abilità fisiche, tanto che venne nominato capitano delle squadre di atletica, di football e di basket.

In quegli anni divenne anche editore sportivo del giornale studentesco denominato “Arkansas Traveller”.

Conseguì il diploma nel giugno 1937 e l'8 giugno 1941 sposò Nancy Mitchell di Fort Smith (contea di Sebastian) e il giorno successivo si laureò in giornalismo.

Intanto in Europa imperversava la seconda guerra mondiale e Britt entrò come riservista nell'Esercito con il grado di sottotenente di fanteria, seguendo il “Reserve Officers Training Corps” (corso di addestramento per ufficiali della riserva).

Maurice aveva grandi capacità sportive e la sua vita era proiettata in questo mondo. Nel 1941 entrò a far parte dei Detroit Lions, "Footsie" diventò un giocatore professionista di football!

Poi arrivò la guerra, la maledetta guerra! E nel mese di dicembre del 1941 fu richiamato alle armi ed iniziò il primo addestramento a Camp Robinson in Arkansas. Poi ricevette un rinvio per poter completare la stagione nei Detroit Lions. Al termine del campionato, venne arruolato in servizio attivo e fu assegnato alla Terza Divisione di Fanteria, 30° Reggimento, 3° Battaglione, compagnia L.

Seguì un ulteriore addestramento a Fort Lewis, Washington, poi a Fort Ord, in California ed infine a Camp Pickett in Virginia.

Dopo l’addestramento venne assegnato alla difesa costiera, sulla costa occidentale degli Stati Uniti, finché l’attacco giapponese a Pearl Harbor, avvenuto alle prime luci dell'alba del 7 dicembre 1941, fece definitivamente precipitare gli Stati Uniti nella seconda guerra mondiale, e Maurice Britt partì con la Terza Divisione di fanteria, sbarcando prima in Africa e poi in Sicilia a Licata con l'operazione “Husky”, il 10 Luglio 1943.

Britt, nei giorni successivi lo sbarco, si distinse effettuando una delle marce a piedi più lunghe della storia militare moderna, guidando i suoi uomini per 54 miglia (87 chilometri) in sole 33 ore, senza acqua né cibo, attraversando a luglio la Sicilia interna, con temperature superiori ai quaranta gradi, partendo da Gela e arrivando fino a Palermo.

Britt, nei combattimenti dei giorni successivi, prese il comando della Compagnia L quando il suo comandante fu ferito ed evacuato sulle navi per essere curato.

Dopo la conquista della Sicilia, il 3 settembre 1943 l'Italia firmava a Cassibile la resa incondizionata agli angloamericani, ma solo l’8 settembre 1943 il nuovo governo Badoglio proclamava l’armistizio, procurando, tra l’altro, come conseguenza diretta l’occupazione nazista dell’Italia.

In questo nuovo quadro storico, gli Stati Uniti non erano più invasori ma liberatori e si apriva il secondo risorgimento italiano.

Il 9 settembre alle 3:30 circa del mattino le forze angloamericane sbarcarono sulle coste salernitane dando inizio all’”Operation Avalanche”, l’operazione valanga, seconda solo allo sbarco in Normandia per uomini e mezzi impiegati, che durò 9 giorni e con la quale venne costituita una sicura testa di ponte sulla zona costiera del territorio di Salerno.

Adesso toccava alla “Rock of the Marne”, la Roccia della Marna, ossia alla Terza Divisione Americana di Fanteria liberare dai tedeschi il territorio interno e raggiungere Napoli al più presto.

Partiti dal porto di Palermo, i dogface soldiers giunsero in varie ondate sulle coste campane e precisamente sulle spiagge del litorale di Battipaglia (Sa) nei giorni tra il 18 e il 20 settembre 1943, fra loro anche il capitano Maurice Lee Britt. Sarà il suo terzo ed ultimo sbarco.

Raggiunta la cittadina di Battipaglia, agli occhi di Britt e degli altri soldati americani, apparve uno spettacolo drammatico: cumuli di macerie, una popolazione “consumata” dalla fame e dalla sofferenza e nell’aria l’odore acre della morte e della polvere.

Migliaia di soldati e decine di mezzi si muovevano in colonna attraversando le vie polverose rese ancora più strette dalle macerie ammassate ai lati e schiere di bambini che si avvicinavano chiedendo qualcosa da mangiare.

A Battipaglia alla Terza Divisione si aggiunse la Compagnia A, 601st Tank Destroyer Battalion e la Compagnia B del 751st Tank Battalion. Mentre il 10th Engineer Battalion già era assegnato alla Divisione.

Ricevuti gli ordini, il 30° Reggimento intorno alla mezzanotte del 20 settembre si mosse verso Olevano Sul Tusciano (Sa), dove ormai non vi erano più tedeschi, ritiratisi già dal mattino, in direzione di Acerno. Alcuni aerei angloamericani tentavano di colpire le colonne nemiche in ritirata.

Ad Olevano i reggimenti si divisero seguendo i sentieri di montagna in direzione di Acerno, due compagnie del 7° reggimento, tra loro anche la Medal of Honor Floyd K. Lindstrom, grandissimo eroe al quale dedicheremo sicuramente un articolo.

Raggiunta Montecorvino Rovella, in località San Martino, costruirono un campo provvisorio e nella notte tra il 21 e 22 settembre si diressero verso il monte Accellica, per tagliare la strada ai tedeschi in località Croci di Acerno, dove poi si uniranno al 30° reggimento.

Alla mezza notte in punto, La Terza Divisione di Fanteria si mise in marcia da Battipaglia. Il 30° reggimento in prima linea con il compito di liberare Acerno dai tedeschi, ma primi fra tutti i plotoni in esplorazione, quelli che si erano specializzati in Sicilia nella guerra di montagna. Tra loro Audie L. Murphy, Medal of Honor, 15° reggimento, Compagnia B, al quale abbiamo già dedicato alcuni articoli.

Giunti in territorio di Montecorvino Rovella alle 2.45 del mattino, esattamente all’incrocio tra Olevano, Montecorvino e Acerno, i dogface soldiers si scontrarono con alcuni gruppi di tedeschi del 9° reggimento panzer grenadier, che avevano il compito di ritardare l’avanzata americana e permettere di predisporre una migliore difesa di Acerno.

Piccoli scontri e inseguimenti nei boschi caratterizzarono tutta la giornata del 21 settembre sino al tardo pomeriggio. Poi la marcia si arrestò a circa due miglia a sud di Acerno, dove i tedeschi avevano fatto saltare un ponte. Tra le sue rovine avevano piazzato due mitragliatrici, un’altra postazione era stata sistemata in una trincea sull’altro fianco della strada alle pendici di una collina per impedire alla Terza di oltrepassare il ponte dal lato est.

Un plotone di esploratori, scoperto il blocco nemico, aveva organizzato un punto di osservazione di fronte al ponte, in posizione più alta e riparata. Quel plotone era comandato da Audie Murphy, il soldato americano più decorato della seconda guerra mondiale, insignito della Medal of Honor per una eroica azione ad Holtzwihr in Francia, dove ancora oggi è posto un monumento che la ricorda.

Alle 21.30 circa, Murphy decise di conquistare da solo le postazioni nemiche e si lanciò all’attacco, ma dietro di lui lo seguì il suo fratello in armi Lattie Tipton. Fu grazie al loro eroismo che quell’ostacolo venne superato senza perdite.

In quella stessa sera Maurice Britt con il 3° Battaglione, compagnia L, superarono il ponte e presero posizione sulla collina n. 687 a sud di Acerno, dove passarono la notte in attesa della battaglia del giorno dopo per liberare Acerno.

La compagnia F, 30° Reggimento, comandata dal Capitano Burleigh T. Packwood, grande amico di Britt anche dopo la guerra, scese giù nella valle del Tusciano a pochi chilometri a sud del ponte, raggiunse l’altra postazione tedesca ad est della strada e la neutralizzò. Poi marciarono sino a notte inoltrata seguendo il corso del fiume, posizionandosi sul lato est di Acerno, da dove l’indomani avrebbero sferrato l’attacco.

Poi venne l’alba. Il reggimento venne allertato: prepararsi alla guerra.

Dalla collina 687 occorreva scendere a valle e poi risalire verso Acerno.

I tedeschi si erano preparati alla difesa: carri armati, postazioni di artiglieria, cannoni da 88 mm e mitragliatrici mg 42 sistemate in foxholes, buche scavate nel terreno, pronte a falciare i soldati americani che fossero riusciti a raggiungere la pianura.

Ricevuto il via libera, il Capitano Maurice Britt ordinò ai suoi uomini di avanzare giù per la collina 687 in direzione del paese. Appena giunti nella valle furono investiti dai colpi dell’artiglieria. Ma non mollarono.

Erano le 8.00 del mattino.

L’avanzata era lenta, difficile, ma si doveva andare avanti, fermarsi significava essere più esposti al tiro preciso dei mortai tedeschi. Poi finalmente la Compagnia L riuscì a raggiungere il pianoro.

E fu l’inferno!

Le mitragliatrici sparavano raffiche di proiettili impedendo di avanzare. I colpi di artiglieria cadevano ovunque, il sibilo delle schegge e il boato delle esplosioni rendevano le posizioni molto insicure.

Occorreva assolutamente identificare la posizione esatta delle mitragliatrici e neutralizzarle.

Erano le 10.30 circa del mattino. Il sole era alto e il caldo era già soffocante. I soldati non potevano vedere il cielo azzurro sopra di loro perché i fumi delle esplosioni lo impedivano rendendo l’aria quasi irrespirabile.

Sul versante est la compagnia comandata dal capitano Packwood, tentava di entrare nella cittadina con un’azione a tenaglia.

A quel punto per la Compagnia L, si stava mettendo davvero male, immobilizzati dai colpi incessanti del nemico.

Il Capitano Britt si trovava alla testa della Compagnia, i colpi nemici giungevano proprio davanti a lui e da quella posizione non si capiva da dove sparasse la mitragliatrice tedesca.

Allora Britt decise di andare avanti da solo, si alzò da terra e scattò correndo con tutte le sue forze in avanti finché non riuscì ad individuare la postazione nemica, che si trovava in un boschetto di castagni.

A quel punto prese una granata da fucile e strisciò in campo aperto per oltre 50 metri! Un’infinità in quella situazione. Riuscì ad avvicinarsi abbastanza e, poi, con l’unica granata a sua disposizione colpì la postazione nemica neutralizzandola.

Per questa azione si guadagnò la Silver Star, la medaglia d’argento.

In quell’occasione, per essere stato ferito da una scheggia al braccio, si guadagnò anche la sua la prima delle sue quattro “Purple Hearts” (una decorazione delle forze armate statunitensi assegnata in nome del Presidente a coloro che sono stati feriti o uccisi mentre servivano nelle forze armate.

La sua azione permise alla Compagnia L e alle altre di poter avanzare, poi di riorganizzarsi e continuare la battaglia verso la chiesa di San Donato, dove sul lato destro i tedeschi sparavano con un cannone da 88 mm. Nei pressi di un uliveto ci fu la battaglia più aspra, americani e tedeschi finirono le munizioni e si trovarono a combattere a colpi di baionetta e pugni.

Alle 17.30 del pomeriggio Acerno era liberata.

Il 23 settembre 1943 il 30° reggimento proseguì la sua marcia incontrandosi con il settimo il località Croci di Acerno, e da lì scesero verso Montella.

Ma questa è un’altra storia…….

La seconda parte dell’articolo sarà pubblicata sul nostro blog: esplorandolacampania.blogspot.com

Descrizione: Esplorando La Campania.

Fonte Dati e fotografie gentilmente concesse da:

www.terzadivisionedifanteriaitalia.com, Ass. Terza Divisione di Fanteria US Army, Italia - Sezione 16, dedicata a Floyd K. Lindstrom, Medal of Honor.

Fonte dati ricerche:

Encyclopedia of Arkansas;

Combat course of the 7th infantry division from fedala to Berchtesgaden;

The History of the Third Infantry Division;

Salerno to Cassino;

“THE STREET WAS ONE PLACE WE COULD NOT GO”: THE AMERICAN ARMY AND URBAN COMBAT IN WORLD WAR II EUROPE;

 

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06 marzo 2021

“EROI IN DIVISA SULLE NOSTRE MONTAGNE” Parte I



Finalmente siamo sul mezzo da sbarco! Siamo la Third infantry division, io sono stato assegnato al 15esimo reggimento. Siamo quasi uno addosso all’altro e non riesco a vedere neppure la spiaggia. Ci hanno detto che sbarcheremo sulle spiagge a circa due miglia a sud di Salerno. Oggi il mare è calmo e fa ancora un caldo infernale, ci hanno informato che qui non piove dal mese di maggio. Non dovremmo incontrare resistenza da parte del nemico e questo mi solleva moltissimo, i compagni che ci hanno preceduto il 9 settembre hanno conquistato con il coraggio e con il sangue questa costa ed hanno costituito una sicura testa di ponte, ma quello che più ci fa stare euforici è che gli italiani si sono arresi l’8 settembre, quindi, pensiamo che sarà se non una passeggiata almeno una tranquilla marcia fino a Napoli.
Questo è quello che pensavo nel tardo pomeriggio del 20 settembre 1943, ma la marcia non fu tranquilla, ma forzata dal nemico il cui coraggio fu davvero ammirevole così come i ripetuti attacchi su tutto il territorio fin ad Acerno, dove il giorno prima della battaglia abbiamo dovuto neutralizzare due postazioni nemiche che ci impedivano il passaggio e che più avanti vi racconterò nel dettaglio.
Il mio nome non posso rivelarvelo adesso ma soltanto al termine del mio racconto. Oggi non sono più in vita, ma non mi ha ucciso la guerra. Sono morto in un terribile incidente alcuni anni dopo che sono tornato a casa. E’ davvero strana la vita! in guerra la mia vita è stata sempre così precaria che mi ero abituato a convivere con la morte, ormai come ho già avuto modo di scrivere in passato, “si era indifferenti alla vita ed alla morte”.
Sono nato in una famiglia poverissima ed ero uno dei tanti uomini come ce ne sono al mondo, oggi sono invece il soldato americano più famoso della seconda guerra mondiale, ma di questo non me ne sono mai vantato. In battaglia ho conquistato tutte le medaglie dell’esercito degli Stati Uniti, comprese alcune della Francia e del Belgio, hanno detto che non esisterà mai più un soldato come me. Ma io ripeto sempre che se vi è gloria nella guerra, che vada a uomini che ho conosciuto e che sono caduti. A due in particolare, uno dei quali ho chiamato nel mio libro autobiografico “Brandon”, e che per me è stato come un fratello. Ho fatto una lunga carriera nel cinema, ho scritto poesie e canzoni ma tutta la mia vita è stata accompagnata da un profondo malessere che mi sono conquistato anche questo durante la guerra.
Adesso siamo sbarcati. Siamo già zuppi di stanchezza e bagnati sino alla vita e non credo che potremmo farci una doccia. Ci hanno ordinato di essere veloci perché dobbiamo raggiungere una località chiamata Battipaglia per poi marciare verso una strada che corre a nord est di Salerno in direzione di Acerno che dobbiamo liberare dai Kraut. Abbiamo solo il tempo di riposarci qualche ora in un paese chiamato Olevano Sul Tusciano, giusto il tempo per organizzarci e poi ripartire………
La campagna di Sicilia mi ha tagliato le gambe, credo di aver imparato a restare vivo, ma questo non si può mai dire. Forse in quelle terre ho contratto la malaria e a volte mi sento venir meno, sento all’improvviso gli occhi che mi bruciano e la febbre che mi sale, ma non voglio che i miei compagni se ne accorgano e soprattutto i miei superiori. Il mio senso del dovere e il mio attaccamento al plotone mi impediscono di andare in un ospedale da campo, non voglio abbandonarli. Resisterò.
Passiamo adesso da Battipaglia o, meglio, da ciò che ne resta. Qui è stato tutto bombardato e soltanto le rovine sono restate in piedi. Sui volti delle persone vedo solo terrore e disperazione. Questa non è la guerra che immaginavo quando mi sono arruolato volontario, non è quella che si legge sui libri, fatta di onori, glorie e sfilate, è solo morte, sofferenza e cinismo. In lontananza si vedono le montagne. In Sicilia ci siamo specializzati nella battaglia in montagna e, quindi, credo che con il mio plotone saremo assegnati alla pattuglia, saremo in prima fila noi e i Kraut, che alcuni di noi chiamano “superman”, per la loro abilità in battaglia.

“EROI IN DIVISA SULLE NOSTRE MONTAGNE” Parte II

 


Abbiamo attraversato Battipaglia ed ora ci siamo fermati Ad Olevano sul Tusciano. Ma il grosso della divisione è rimasta più indietro con i mezzi pesanti. Siamo già sfiniti e non abbiamo ancora cominciato la marcia. Gli italiani qui ci hanno accolto come dei liberatori, ci abbracciavano e qualcuno ci regalava delle bottiglie di vino che sono già finite! A volte il vino aiuta a pensare di meno a quello che ci aspetta o a farci sentire con più leggerezza quella paura che ci prende nello stomaco, sembra che qualcuno ti stia prendendo le budella con le mani per contorcerle fino a farti crepare! Poi al primo colpo tutto passa, ti scatta qualcosa che non so spiegare, forse è lo spirito di sopravvivenza che prevale e si diventa come delle macchine. Allora la paura diventa una compagna, ti è sempre vicino e se non perdi la ragione, con molta fortuna forse puoi anche sopravvivere.
Adesso siamo fermi qui, siamo migliaia, ma come immaginavo il mio plotone è stato assegnato alla pattuglia e, quindi, siamo in prima linea! Ci siamo accampati in un piccolo spiazzo dove accanto scorre un fiume, chiamato Tusciano. Qualcuno ci ha detto che si chiama Parco San Michele. Ma a noi poco importa, ci interessa di più il fiume perché le sue acque sono fresche e limpide e ci possiamo lavare per quel poco che possiamo. Intorno a noi montagne alte e bellissime ci guardano dall’alto e verso ovest si intravedono i resti di un antico castello tra due colonne rocciose.
Tutto sta ad indicare che da queste parti la guerra è già passata molto tempo fa. Questo è l’uomo e la storia si ripete sempre.
Sebbene ci siamo ormai abituati a vederci passare sopra le teste dei colpi di artiglieria, ci aspettiamo da un momento all’altro che i tedeschi si facciano sentire. Invece tutto tace e questo ci crea inquietudine. Le budella già cominciano a “ballare”! Dalle ricognizioni aeree e dagli italiani siamo stati informati che i Kraut si sono posizionati su quelle montagne a nord da dove ci troviamo. Certamente ci stanno aspettando ansiosi di farci la pelle. Il comando ha già predisposto l’ordine di marcia: saliremo sul sentiero in direzione del castello per poi congiungerci con gli altri che bivaccano nel paesello, poi prenderemo tutti una strada sicura che ci porterà fino ad una biforcazione dove a sinistra la strada scende a Montecorvino Rovella e a nord per Acerno.
Da quel punto, il quindicesimo reggimento scenderà verso Montecorvino per poi, da dove vi è una antica chiesa, voltare verso nord per aggirare il nemico e raggiungendo attraverso le montagne il piccolo paese di Curticelle superare il passo della colla fin alla valle del Sabato per dirigersi nelle vicinanze di Avellino, dove attenderanno il resto della divisione.
Il settimo e il trentesimo reggimento seguiranno la strada per Acerno, quest’ultimo dovrà liberare il paese mentre il settimo tenterà di arginarlo per tagliare la strada ai tedeschi al luogo denominato le “Croci di Acerno”.
Con il mio plotone insieme ad altri marceremo a circa 100, 200 metri al di sopra della strada per Acerno sulle creste delle montagne in esplorazione. Altri marceranno lungo la strada a piedi e con mezzi leggeri. Li avviseremo in caso di pericolo….
Il grosso della divisione rimarrà indietro.
E’ già mezzanotte ed il cielo è stellato! Chissà se vedrò la prossima alba.
Adesso si parte, zaini in spalla, elmetto sulla testa, il mio Tommy Gun ben carico e comincia la danza….

“EROI IN DIVISA SULLE NOSTRE MONTAGNE” Parte III

 


Una leggera brezza ci rinfresca il viso ed è l’unico sollievo in questa marcia! Siamo zuppi di sudore e camminiamo lentamente lungo il pendio delle montagne, il nemico ancora non si è fatto sentire ma sappiamo che da un momento all’altro sentiremo uno sparo e forse uno di noi cadrà a terra con urla di dolore, finché la morte non porterà sollievo. Solo il favore della notte e questi magnifici alberi potranno aiutarci dal non essere visti, ma marciare in silenzio è impossibile, ad ogni passo i nostri scarponi calpestano un ramo secco che emette il suo caratteristico rumore e ci fa tremare. Siamo in sette nella mia pattuglia, non parliamo tra noi per non farci sentire, ma spesso incrociamo i nostri sguardi ed è come parlare. E’ incredibile quante cose si possono dire anche con un solo sguardo. Le ragnatele sono fastidiosissime, continuano ad attaccarsi ai nostri volti, per adesso questo è il nostro nemico.
Ci siamo sparpagliati su per i pendii e sembrerà incredibile da credere ma ci auguriamo al più presto di sentire la mitragliatrice tedesca che ci spara contro, perché l’ansia ci sta consumando passo dopo passo.
Adesso giù verso il pendio noto una strada che corre verso sud, siamo alla biforcazione per Montecorvino Rovella, guardo il mio orologio incrinandolo verso la luce della luna: sono le 2.45 del mattino.
I miei compagni mi guardano scrutando sul mio volto il significato della mia sosta, allora li tranquillizzo indicando con la mia mano di proseguire, ma mentre agito ancora il mio braccio scoppia un inferno di fuoco! Ci buttiamo a terra come sassi pesanti e le pallottole ci passano sopra la testa emettendo il loro sibilo caratteristico. E’ l’mg 42 che ci vuole far fuori! Non riusciamo a vedere da dove stanno sparando e non ci conviene rispondere, altrimenti possono individuare la nostra posizione e farci saltare in aria con un colpo di artiglieria leggera.
Avvisiamo le nostre retrovie che il nemico si trova sopra una collina di fronte alla nostra posizione proprio sopra il bivio tra Montecorvino e Acerno, così il comando ci ordina di indietreggiare e di posizionarci più indietro e di tenerci al riparo. La nostra artiglieria ci aprirà la via.
Il cielo adesso si illumina, i mortai cominciano a cantare e colpiscono tutta la zona avanti a noi con un fuoco incessante tanto che la terra trema sotto di noi. Si sentono anche le schegge che sibilano ovunque e si resta giù appiattiti come vermi aspettando che i mortai smettano di cantare.
E finalmente si riparte, ma i tedeschi sono ancora piazzati per le colline. Ci raggruppiamo con gli altri plotoni e avanziamo tenendoci comunque distanziati, nessun nemico può restare vivo o qualcuno ci lascerà la pelle! Le raffiche di mitragliatrici sono continue, sentiamo esplodere le nostre bombe a mano e allora capiamo che qualcuno dei nostri ha individuato qualche “tana di volpe”. Ma quanti ce ne sono! Gli spari si odono anche da sud, tutta la zona è coperta dai Kraut, sembra che si stiano dividendo in gruppi, alcuni vanno verso Acerno mentre altri si dirigono verso una chiesa poco più in basso.
Le danze continueranno per una buona mezz’ora, i nostri hanno occupato tutte le colline intorno e “bonificato” la zona per alcune centinaia di metri”, si sentono soltanto alcuni colpi provenire dalla zona della chiesa, dove i tedeschi hanno picchiato pesantemente con le mitragliatrici, a anche la nostra risposta non si è fatta mancare. Prima i mortai e poi i nostri Tommy Gun!
Immancabili adesso sono le conte dei feriti e dei morti, noi ci siamo tutti per questa volta la morte ci ha sfiorato soltanto volendoci risparmiare per il prossimo attacco nemico. Si perché siamo sicuri che i tedeschi sono arretrati per riposizionarsi. Non ci lasceranno arrivare ad Acerno facilmente!
Adesso che le armi tacciono si sentono solo i lamenti dei feriti e le bestemmie contro i tedeschi e contro questa maledetta guerra. Brandon si avvicina e mi chiede se siamo tutti in piedi, io gli rispondo tutto bene e lui mi dà un colpo sulla spalla e se ne va. Un passo dopo un altro e mi domando se torneremo a casa un giorno, il mio desiderio più grande è quello di sedermi sulla veranda di casa gustandomi una birra fredda e senza che qualcuno mi spari alle spalle!
Lui ha una famiglia, io no. Ogni volta che posso avanzo davanti a tutti, sono quello che ha meno da perdere in questa guerra. Se tornerò a casa sano e salvo, la mia guerra continuerà contro la povertà. Mia madre è morta quando avevo sedici anni e mio padre anni prima ci aveva abbandonato lasciando una famiglia già povera e numerosa. A volte rivedo ancora mia madre spezzarsi la schiena di lavoro per farci crescere e quando cammino su per queste montagne ripenso a quando ancora quasi bambino imbracciavo il fucile per le colline del Texas a caccia di animali per avere qualcosa da mangiare.
Il mio aspetto da fanciullo non mi ha lasciato, lo odio! Ho faticato molto anche per farmi arruolare e quando ci sono riuscito mi volevano assegnare alle cucine per salvarmi da una morte certa in guerra. A me sembrava di impazzire, ma poi ce l’ho fatta e sono stato assegnato alla fanteria, anche se avrei voluto entrare nei marines. Mi viene da sorridere pensando che un giorno qualcuno dirà ad un mio superiore mentre mi osserva: “non farti ingannare dal suo aspetto, lui è il soldato più tosto di tutta la divisione!”
Ma dobbiamo andare avanti adesso! Ed io sono il primo, d’altronde sono il caporale, ho dei doveri verso il mio plotone. Queste montagne assomigliano alle nostre montagne rocciose, l’ideale per nascondersi ed attaccare, non si poteva trovare un luogo peggiore per fare una guerra!

Tenente BANDINI Roberto - 186° rgt. fanteria, Divisione « Folgore »

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