A voi italiani che leggete queste parole e, in particolare, a voi montecorvinesi, io che non sono più, io che sono morto per la libertà dell’Italia e per salvare i miei compagni, voglio lasciarvi un messaggio: amate la vostra vita e rendetela straordinaria. Apprezzatene ogni momento, perché è meravigliosa. Non vi abbattete mai davanti alle asperità, perché vi assicuro che ve ne sono di terribili e voi non le vivrete mai. Ognuno di voi lotti per rendere migliore il proprio paese, la propria città come meglio potete, così renderete migliore la nostra amata Patria. Lottate sempre per la pace e per la vostra libertà. Abbiamo sacrificato la nostra vita per la vostra. MERITATEVELO!!!
Sono nato il 9 dicembre 1878 a Montecorvino Rovella, il mio amatissimo paese. Da piccolo sono cresciuto tra il mio giardino e la piazza di San Pietro. Ho sempre amato giocare con i miei amici con tutto quello che ci capitava, ma il nostro luogo preferito per i giochi e per le escursioni era sempre e soltanto uno: castello.Ma l’età spensierata dei giochi, come si sa, finisce presto e d’improvviso mi ritrovai adolescente.
I primi studi al Vicinanza furono proficui, poi venne il momento di scegliere cosa fare della mia vita. Non fu difficile, scelsi il mio paese. E decisi di conseguire il diploma di agrimensura e, così, di restare a Montecorvino! Compiuti i primi studi tecnici a Salerno, mi diplomai all’istituto tecnico di Napoli. Studiai il francese, il disegno e la calligrafia, la mia passione. L’adoravo tanto che ancora studente a Napoli, un mio saggio di calligrafia fece conseguire all’istituto tecnico un premio all’Esposizione di Parigi.
Poi venne la chiamata per il servizio militare e non ne fui felice. Avrei dovuto lasciare il mio paese, i miei compagni, la mia famiglia. Ma ho accettato la chiamata a testa alta con alto senso del dovere, avrei servito la nostra giovane Italia. Così mi presentai a Roma e prestai il servizio come allievo ufficiale, prima con il 63° Reggimento Fanteria e poi a Napoli nel 5° Reggimento Fanteria, ove il 16 gennaio 1902, venni nominato sottotenente. Svolsi il mio servizio militare con onore e ne fui fiero, perché rappresentavo oltre me stesso e la mia famiglia anche la mia Montecorvino. Tornato a casa, mi dedicai alla famiglia ed alla mia casa, decisi, inoltre, di conseguire la licenza normale il 9 agosto 1905 e nell’ottobre 1906 ottenni di entrare nel ruolo degli insegnanti del Comune. Davanti a me si apriva una nuova vita: quella del maestro.
Fu una breve vita, felice e dedita ai miei piccoli allievi, perché ben presto la situazione politica in Europa si era infiammata. Le minacce di una guerra si profilavano all’orizzonte e ben presto invasero anche la nostra Patria. Ci fu un aspro dibattito intorno alla decisione di intervenire nella grande guerra. Alla fine prevalse l’interventismo e con la mobilitazione del 24 maggio 1915 sono partito anch’io col grado di tenente del 64° Fanteria per Salerno. E lasciai la mia amata Montecorvino!
A Salerno sono rimasto alcuni giorni e lì incontrai molti compaesani. Non dimenticherò mai i loro volti. Se avevamo paura, no signore. Avevamo tutti un solo dolore, quello della preoccupazione per le nostre famiglie. Le nostre madri ci avevano salutato come se non ci avessero visto mai più. I nostri padri ci salutarono con una pacca sulle spalle dicendoci “va e fatti onore!” Si viveva tutto come una in una grande avventura, i luoghi di destinazione non si conoscevano, per noi era come andare in un altro mondo. Ma la vera destinazione la conoscevamo tutti: la guerra.
E venne il giorno della partenza! Col mio reggimento lasciai Salerno il 2 giugno 1915 e fui catapultato nella Grande Guerra! Il 5 giugno ero a Fogliano e di là, poco dopo, sul Carso. Il mio primo campo di battaglia fu un luogo chiamato Sei Busi, ma fu a Polazzo che il 2 luglio feci il mio battesimo del fuoco con la guerra. In quell’occasione ricevetti un encomio solenne dal Luogotenente del Re con Decreto del 22 gennaio 1916: ” Sotto fuoco violento, conduceva con slancio ed ardire il suo plotone all’assalto di una trincea fortemente occupata dal nemico”. Ma io l’ho raccontato così in una lettera scritta a mio fratello, Rev. Can. Carmine: “II compito di una difficoltà eccezionale… fu con tanto slancio espletato, che merito di essere encomiato dai dirigenti l’azione e giudicato brillante. Si trattò della presa di trincee nemiche formidabilmente costruite e garantite di reticolati e mine, nonché difese da più giorni con ostinatezza ammirevole da parte degli austriaci, e collocate alla sommità di una collina a falde scoperte e solo irte di rocce e di sassi acuminati, ove pareva nell’attraversarle che anche la natura ci ostacolasse e rendesse aspra l’ascesa dell’infernale monte. Senza sparare un colpo, ma carponi, strisciando sul suolo brullo, raggiungemmo tutti la sospirata vetta, ove con un grido solo: Savoia!
Attraversammo il fitto ed intricatissimo reticolato di solidi fili di ferro spinati, assicurati a robusti paletti di ferro a punte acuminate, e piombammo sul nemico ad arma bianca; ma noi scesi nei fossati blindati e percorrendo i camminamenti facemmo prigionieri gran numero di austriaci; di quelli che, sorpresi, non erano riusciti a fuggire”. In questa impresa avevo al mio fianco altri montecorvinesi, Vito Moscariello, Martino Coralluzzo, D’Alessioe l’attendente, Francesco Re. Ben quattro pallottole mi avevano sfiorato durante la battaglia: due mi avevano attraversato il berretto, una la saccoccia destra con le carte che vi si trovavano ed una la mantellina e il tascapane! Mi sentivo miracolato e sentivo dentro di me una grande forza interiore.
Ma presto la vita mi mostrò quanto la mia forza poteva essere precaria. Infatti, mi giunse una lettera da Montecorvino, mia sorella Giuseppina era morta. Sprofondai in un profondo dolore e senso di impotenza per non esserle stato accanto in punto di morte. Era il 1° luglio 1915. Non ho potuto fare altro che domandare alla mia famiglia che deponessero sulla sua tomba un mazzo di rose e garofani con un nastro portante la scritta: “II fratello lontano che combatte per la grandezza d’Italia!”. Intanto, al campo dove mi trovavo venivano da me alcuni compaesani montecorvinesi che chiedevano di stare sotto il mio comando, come per trovare una protezione dalla guerra e per sentirsi più vicini a casa. Ricordo tra questi di Antonio Romano, il calzolaio Ciociola, il caporale Della Corte, Vito e Gabriele Moscariello, Pietro Stabile, Martino Coralluzzo, e Luigi Verzola. Di loro davo notizia alle rispettive famiglie e tentavo di rassicurarle.
Il 12 settembre 1915 venni nominato capitano, ma la mia gioia fu una sola, quella di aver avuto la fortuna di esser rimasto col mio reggimento reggimento ed all’affezionata undicesima Compagnia, fortuna che purtroppo non era toccata al prof. Ersilio Castelluccio di Faiano, il quale, promosso, era stato trasferito al 132° di Milizia Mobile. Ricordo che in una lettera spedita alla mia famiglia, scrissi: “Oh, cari, buoni ragazzi! Quale gioia sarebbe per me poterli condurre alla vittoria e tutti incolumi riaccompagnarli alla gentile Salerno, da cui farli partire soddisfatti ed orgogliosi, per il dovere compiuto, verso le loro case, ove tante braccia aperte li aspettano!” Dio esaudisca i miei voti!”. Il 25 ottobre e il 2 novembre io e i miei 300 fanti, tra cui molti montecorvinesi, andammo fieri e pieni di spirito all’attacco delle posizioni austriache, avanti a me vedevo sventolare la nostra bandiera!
Avanzammo verso il campo nemico senza paura, i colpi arrivavano da tutte le parti, scoppi di granate ovunque intorno a noi. Percorremmo molti metri oltre le nostre postazioni e ci lanciammo all’assalto verso le trincee nemiche, tutti insieme, io e la miei straordinari soldati! Avreste dovuto vederci. Gli austriaci risposero con tutta la loro potenza di fuoco, ma noi non abbiamo ceduto neppure un metro. Abbiamo difeso la posizione a costo della vita. Soltanto quando il contrattacco nemico si fece pesantissimo e il mio comandante di battaglione mi ordinò la ritirata per evitare ulteriori perdite, ordinai al mio plotone di ripiegare sulle nostre linee. Per quest’azione guadagnai la mia prima medaglia d’argento al valor militare, ma avrei voluto che fosse assegnata ai miei soldati. In quei giorni combatterono come leoni!
Eravamo sul Monte Sei Busi, erano i giorni tra il 25 ottobre e il 2 novembre 1915. Come premio per la mia operosità e del mio coraggio ebbi l’incarico di accompagnare la tradotta dei militari, che si recavano in licenza dal fronte. Giunto a Napoli, profittai della breve sosta per correre in paese e riabbracciare i miei cari. Era il 22 dicembre 1915 e non lo dimenticherò mai, attraversai il paese come in trionfo. I montecorvinesi erano stati informati del mio arrivo ed accorsero da ogni parte per acclamarmi e per avere notizie dal fronte. Tra tanta gente cercavo i volti dei miei cari, ma era troppa la folla. Poi finalmente li vidi e mi commossi dalla gioia.La licenza durò pochissimo e ripartii la sera del 24 dicembre. Ritornai successivamente il 10 gennaio e fu l’ultima volta che vidi la mia Montecorvino.
Non sarei tornato mai più al mio paese!Giunto a Portogruaro, venni a conoscenza che il mio reggimento era stato spostato sul fronte in trentino e mi diressi verso quelle zone, ma sulla via mi fermai a Padova, dove andai a pregare alla basilica di S. Antonio per la mia famiglia e per tutti i miei soldati! Mi fermai poi a Nove presso Marostica e il mio viaggio terminò sulle cime nevose oltre Malga Zole, era il 16 febbraio 1916. Da lassù vedevo la Patria più grande e mi sentivo più vicino a Dio!Il 19 aprile 1916, dopo quaranta interminabili giorni, scesi dal freddissimo “regno delle aquile!” e sostai per alcuni giorni giù a valle, dove assaporai finalmente il piacere dei panni puliti. Ero a Cogollo in Val d’Astico.Non durò a lungo il mio soggiorno, il 5 maggio col mio battaglione ripartii e, per Arsiero e la zona dei Laghi, ci incamminammo alla volta di Campomolon, l’ultimo forte italiano sul confine, altro terribile e doloroso Calvario della guerra. Ma terribile nella fantasia dei soldati, per la “cruda realtà dell’amplesso di fuoco, cui era sottoposto da parte dei munitissimi forti austriaci del Doss del Sommo, del Sommo Alto, del Cherle e del Belvedere!”. “Da Campomolon a Campiluzzo, da Campiluzzo a Monte Coston e di là nelle trincee di Osteria Fiorentini e poi di Valle Lozza sotto lo sguardo sinistro del forte Belvedere….” All’alba del 15 maggio 1916 fui a capo della mia undicesima Compagnia, destinata a difendere appunto l’estrema destra delle falde di M. Coston, (regione Nord di Campomolon). La mia eterna tomba.
Sotto l’infernale bombardamento della linea, iniziato assai per tempo dal nemico, ordinai di resistere e di difendere in oltranza la nostra posizione. [In quel giorno iniziava la spedizione punitiva austro-ungarica sul fronte degli Altipiani, nota anche come la Battaglia degli Altipiani fu una durissima battaglia combattuta tra il 15 maggio e il 27 giugno 1916, sugli altipiani vicentini, tra l’esercito italiano e quello austro-ungarico, impegnati in quella che fu definita dagli italiani come Strafexpedition, traduzione in tedesco di “spedizione punitiva”. In tedesco la battaglia è individuata come Frühjahrsoffensive (ossia Offensiva di primavera). Durante la battaglia le perdite tra i due eserciti ammontarono a 230.545 uomini]. Venni informato da alcuni soldati feriti della nona compagnia che questa era stata attaccata dalle forze nemiche con incredibile forza e che stavano sfondando la linea di difesa. Ci spostammo su quelle posizioni e dalle fredde trincee sparammo contro il nemico senza respiro. I nostri cadevano come foglie uno dietro l’altro, gli austriaci erano sempre più numerosi e sembrava che la nostra resistenza fosse inutile.
Decisi di ripiegare verso il centro della Compagnia approfittando di un profondo camminamento tra le trincee. Il nemico, intanto, era riuscito a sfondare le linee italiane ed era passato alle spalle della 9a Compagnia, che avevo tentato di rafforzare e sostenere, poi tentò di aggirare anche l’undicesima, cercando di tagliare fuori ogni difesa. Mi fu dato l’ordine di far ripiegare i miei soldati dal lato destro a scaglioni. Si stava sotto il fuoco incessante di bombe a mano, mitragliatrici e fucili! Sparai contro di loro tutto quello che avevo finché non rimasi soltanto con la mia pistola! Ma non mi mossi di un solo centimetro, io ero il capitano e restai fermo a rincuorare i superstiti e ad incitarli a resistere cercando con tutte le mie forze e le mie ultime munizioni di proteggere il loro ripiegamento!
D’improvviso sentii la voce del nemico che ci ordinò di arrenderci e di gettare le armi. Risposi senza esitazione con un secco no! Poco dopo venni colpito alla testa da un proiettile. Ebbi appena il tempo di appoggiarmi alla spalla del mio fido sergente maggiore Ettore Negri, rimasto a guardia e a difesa del suo Capitano, ed esclamai: “Negri!…Quei vigliacchi!”. E poi la morte. Per quell’azione guadagnai una seconda medaglia d’argento al valor militare, la motivazione recitava: “Dopo avere eroicamente resistito all’incalzante avanzata di forze nemiche superiori, sotto un intenso e violento bombardamento, circondato con pochi uomini della Compagnia da numerosi avversari, all’intimazione di arrendersi, rispondeva ordinando il fuoco e sparando Egli stesso con la propria pistola. Cadeva da prode, colpito a morte. Monte Coston 15 maggio 1916. — Decr. Luogot. 22 dicembre 1918. Una lapide venne murata sulla casa dove nacqui. Oggi è ancora lì. VIVA L’ITALIA!
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